WANDERLUST
“Lo scoprire consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò che nessuno ha pensato.” (Albert Szent-Gyorgyi).
Il dizionario inglese – italiano definisce il termine wanderlust così: voglia di viaggiare, voglia di girovagare… (forse un po’ riduttivo).
Le origini di questa parola vanno ricercate nella cultura tedesca dove wandern sta per escursione e lust per desiderio. Ecco, il Romanticismo tedesco nasce così, con il desiderio folle di scoprire, viaggiare e conoscere.
Raccontata così, questa parola ricorda la noia e la paura di giugno che si impossessa degli studenti del Liceo prima dell’esame di maturità. Ma se ci soffermiamo un attimo sulle componenti di questa parola ci accorgiamo che, malgrado le sue nove lettere, racchiude le sensazioni, i desideri e soprattutto i sogni di molti di noi. Compresi i ragazzi che si preparano alla maturità e non aspettano altro che la sua fine per andare lontano.
Conoscete quella sensazione che vi porta ad avere un desiderio irrefrenabile di partire?
Mentre siete comodi, annoiati, demotivati, pensate mai all’orgoglio di un passaporto pieno di timbri di paesi lontani?
Ecco, quella curiosità lì si chiama wanderlust (hashtag anche troppo usato su Instagram: non vale inserirlo nella didascalia di una foto sulla terrazza di casa). Possiamo chiamarla curiosità, passione o se vogliamo avvicinarci a termini più freudiani possiamo addirittura definirla sindrome. Sindrome perché? Per il semplice fatto che non passa. Anzi aumenta una volta tornati a casa dal viaggio. Lungo o corto che sia, lontano o vicino, wild o con tutti i comfort, poco importa. Abbiamo subito voglia di ripartire. Un po’ come l’appetito insomma, viene mangiando. E nel caso dei viaggi viene girovagando e scoprendo. Perché abbiamo sempre fame, e sempre sete di conoscenza e non siamo mai sazi di sapere.
Dante ci punirebbe e ci metterebbe nel suo Canto XXVI.
Ci metterebbe a fare due chiacchiere con Ulisse sempre desideroso di conoscere di più, e lui stesso ci direbbe:
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”
Ulisse ci incita a partire, a scoprire, e non possiamo farne a meno, non potrebbe più trattenerci anche se cambiasse idea. E come i suoi compagni, in un modo o nell’altro siamo attratti dal nuovo, anche se rischioso, e giriamo la poppa. Loro superarono Gibilterra e si diressero a sud-ovest… Noi dove andremo? Come calmeremo questa irrequietezza? E anche, da cosa deriva, e perché è dentro di noi?
È affascinante notare come tutto quello che nei secoli scorsi veniva definito con i termini “umore” e “anima” oggi si spiega con la chimica, la medicina e la scienza in generale.
Cosa c’entra la scienza e tutto questo con il desiderio di viaggiare? Secondo alcune ricerche mediche, anche questo impulso, così come molti altri sarebbe inciso nel nostro DNA. Esisterebbe infatti un vero e proprio gene di wanderlust, anche detto “il gene del viaggio”.
Il gene DND4-7R, associato ai livelli di dopamina nel cervello. Apparentemente questo gene non è presente in tutti gli essere umani ma solo nel 20% della popolazione mondiale, le più curiose, le più predisposte al rischio, le più irrequiete. Caratteristiche accompagnate spesso dalla loro accezione negativa.
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